Rinuncia al cardinalato e ingresso in conclave

Il 24 settembre 2020 un comunicato stampa della Santa Sede ha annunciato che il papa aveva «accettato la rinuncia dalla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al Cardinalato, presentata da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu».

Queste poche righe sono state commentate in vario modo soprattutto per la loro connessione con fatti potenzialmente delittuosi in cui il cardinale potrebbe essere coinvolto, fino al punto che alcuni organi di stampa hanno accreditato una versione secondo la quale il papa, in realtà, non avrebbe accettato la sua rinuncia, ma lo avrebbe «licenziato» o comunque «dimissionato».  Chi dà seguito a queste voci considera la rinuncia un «rimedio penale», tanto che qualcuno lamenta l’assenza di un processo.  In mancanza di fonti ufficiali, non credo sia opportuno entrare in questo genere di considerazioni. E’ invece necessario riferirsi all’unica fonte formale disponibile, ossia al comunicato stampa della Santa Sede, che è peraltro lo strumento ordinario con cui si dà periodicamente notizia di rinunce e nomine.

Il comunicato nette in luce che la «rinuncia» di Becciu tocca due diversi aspetti: il primo, la carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e l’altro i «diritti connessi al cardinalato».  Sul primo non vale la pena soffermarsi, dato che per vescovi e cardinali mettere nelle mani del papa la rinuncia all’ufficio ecclesiastico che gli è stato assegnato costituisce una prassi ordinaria. Il secondo presenta invero qualche problema interpretativo, in quanto l’ordinamento canonico non prevede esplicitamente la rinuncia al cardinalato. Inoltre, la formula «rinuncia dai (rectius: ai) diritti del cardinalato» sembra contemplare solo i diritti lasciando indenni altre prerogative.

In ogni caso, dal punto di vista canonistico formale, emerge che il cardinale non è stato oggetto di una sanzione, bensì ha rimesso sua sponte la carica e i diritti, e il papa ha accettato. Questo è sufficiente per ritenere giuridicamente compiuta la presa d’atto dell’avvenuta rinuncia, e ciò impedisce al rinunciatario di esercitare in futuro funzioni connesse al cardinalato, a meno che il (un) papa non decida di nuovamente inserirlo nel collegio dei cardinali, da cui per il momento è senz’altro fuori.  

Trattandosi tuttavia di un atto insolito, qualcuno si è chiesto se il cardinale rinunciatario conservasse ancora qualche prerogativa connessa alla funzione. A mio avviso il senso e la lettera delle vigenti norme canoniche relative all’istituto del cardinalato non lasciano dubbi sull’avvenuta perdita di tutte le funzioni relative al ruolo cui si rinuncia. A differenza del passato, il cardinalato si caratterizza per essere un istituto che impegna il cardinale – che non può non essere anche vescovo – ad assicurare una più stretta collaborazione col ministero petrino rispetto alla comunione comunque richiesta a tutti i vescovi. L’incorporazione nel Collegio dei cardinali comporta l’assunzione di una serie di doveri, cui corrispondono diritti e prerogative.  I cardinali sono tali in quanto chiamati ad assistere il Romano Pontefice, quando sono convocati come collegio (can. 353) o come singoli; se insigniti di cariche curiali (can. 349) devono risiedere a Roma quando non siano vescovi diocesani. Com’è noto, sono membri del «peculiare collegio cui spetta provvedere all’elezione del romano pontefice», che è a sua volta una funzione e non un diritto in senso stretto, peraltro disciplinato da un «diritto peculiare», su cui tornerò fra poco. In forza della loro dignità,  godono di una serie di prerogative di ordine cerimoniale, e possono essere giudicati solo dal Romano Pontefice nelle cause previste dal can. 1401. Anche questo è tuttavia un diritto del Pontefice e non del cardinale, che resta soggetto al foro ordinario nel caso in cui il Pontefice non intendesse vantarlo.

Sulla base di queste considerazioni sistematiche, ho sostenuto in alcune interviste (un quotidiano on line mi ha anche reato cardinale!) che la rinuncia di Becciu copre tutte le prerogative cardinalizie. Questa posizione è condivisa anche dal Prof. Paolo Moneta (vedi l’intervista al quotidiano Avvenire del 29 settembre 2020, p. 19). Da qui alcuni hanno dedotto che questa soluzione comprendesse anche la perdita dell’esercizio del voto nel conclave (ad esempio qui e qui, ove è richiamato un articolo di  Alberto Melloni), ipotesi che per la verità non avevo preso in considerazione, in quanto suppongo che un cardinale rinunciatario non intenda presentarsi al conclave, ben sapendo che se rinuncia, cessa dalle sue funzioni. Del resto, per assicurare la certezza del diritto, trovo che non sia possibile ritrattare una rinuncia debitamente accettata. Chi rinuncia, rinuncia per sempre e definitivamente.

Tuttavia, la domanda relativa alla partecipazione al conclave è lecita, dato che la legge della Chiesa dal 1311, al fine di evitare dissensi, e scismi, ammette l’ingresso in conclave anche dei cardinali affetti da pene canoniche. Così decretò Clemente V –  da Avignone – e confermarono Pio IV, Gregorio XV, Pio XII, Paolo VI e  Giovanni Paolo II.  Su queste solide basi Melloni ritiene che anche Becciu mantenga questa possibilità, e ne trova conferma dal fatto che il sito della sala stampa vaticana lo elenca ancora fra i cardinali elettori. Per la verità, il sito (consultato oggi) lo indica anche come Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, (mentre il 15 ottobre è stato nominato il successore); in ogni caso, non credo che la Sala Stampa sia una fonte del diritto.

La risposta a questa domanda va cercata nel «diritto peculiare» che disciplina oggi l’elezione del Romano Pontefice, e che adesso stabilisce che l’elezione del papa sia fatta non da tutti i cardinali, ma solo dai «cardinali elettori», ossia «quelli che al momento dell’ingresso in Conclave hanno già compiuto l’80° anno di età». Effettivamente, si prevede anche che «nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione, attiva e passiva, del Sommo Pontefice, a causa o col pretesto di qualunque scomunica, sospensione, interdetto o di altro impedimento ecclesiastico; queste censure dovranno ritenersi sospese soltanto agli effetti di tale elezione».

Come si vede, l’elenco corrisponde alle pene previste dal Codice di diritto canonico: scomunica (can. 1331), interdizione (can. 1332), sospensione (can. 1333) o altro impedimento ecclesiastico. Tutte si considerano «sospese» ai soli effetti dell’elezione. Ovviamente, l’elenco non prevede la «rinuncia», non essendo essa contemplata dal diritto. A mio avviso non si tratta di una mera dimenticanza, dato che sono esistiti esempi di cardinali che hanno rinunciato e quindi il legislatore se avesse voluto, avrebbe potuto contemplare anche questa ipotesi. Come anticipato, l’ammissione dei cardinali colpiti da pene ecclesiastiche aveva una funzione preventiva di possibili opposizioni di una minoranza verso il papa eletto. Storicamente peraltro non è mai successo che i cardinali che hanno rinunciato siano stati convocati o si siano presentati alle porte del conclave [l’unico che avrebbe potuto temporalmente farlo sarebbe stato Marinio Carafa di Belvedere, non essendosi negli altri casi svolti conclavi dopo la loro rinuncia e prima della loro morte].

Bisogna anche tener conto che per i cardinali partecipare al conclave più che un diritto, è un dovere connesso alla loro funzione. Chi vi ha rinunciato non ha il  dovere di parteciparvi. Inoltre, come già detto, la rinuncia non è un rimedio penale, e non può essere sospesa. In linea di principio, chi rinuncia, non ha interesse a presentarsi ad un appuntamento al quale non è stato convocato, e sarebbe altresì consapevole del potenziale esplosivo che una sua eventuale partecipazione potrebbe avere sull’elezione del Romano pontefice.

Visti i tempi, è anche possibile – speriamo il più tardi possibile, lunga vita a papa Francesco! – che un rinunciatario intenda entrare in conclave. Da questo punto di vista potrebbe essere opportuno un chiarimento formale. Ben sapendo che mettere mano a una definizione giuridica dei termini canonici della potenziale rinunciabilità a una rinuncia investe questioni che rischiano di interferire in equilibri che si spostano dalla porpora verso il bianco.

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