Tesi e papers

Sono disponibile ad accettare proposte di lavori finali e/o tesi su un certo numero di argomenti riguardanti le culture germaniche dall’Antichità al Basso Medioevo, nonché riscritture e ibridazioni moderne, indipendentemente dal voto di esame. La discussione di questi avrà luogo, tuttavia, soltanto a fronte di una stesura ragionevolmente corretta e matura, priva di sgradevoli ricorsi alla pratica del ‘copia-incolla’ da internet o, peggio, del plagio puro.
Una tesi di laurea deve rispondere a una precisa ‘domanda’ di ricerca e non può essere intesa come riassunto di punti vista su un argomento più o meno generico. Esse deve adeguarsi a criteri formali e sostanziali precisi ed è necessario che la/il candidat* tenga conto che il registro stilistico richiesto è quello di una relazione di carattere scientifico. Il lavoro deve dunque corrispondere alle norme di correttezza ortografica, morfologica, sintattica e semantica (che si acquisicono nella scuola primaria e secondaria), nonché di chiarezza espressiva, di capacità di sintesi e contenere considerazioni derivanti dalla rielaborazione personale della/del candidat*.

Si ricorda che ogni considerazione o affermazione tratta da lavori altrui deve necessariamente contenerne il riferimento, con l’indicazione precisa della relativa estensione, evitando consuetudini scientificamente poco opportune come ad es.: Smith (2005: 121 e segg.).
Nelle citazioni delle fonti è fondamentale fare direttamente riferimento a queste, non a testi/frammenti riportati da autori moderni: un passo riconducibile alla Germania di Tacito, al Muspilli alto tedesco antico, alle leggi anglosassoni o all’Edda poetica norrena devono essere desunti da una edizione critica o comunque integrale di studiosi riconosciuti, quindi nessuna citazione di seconda mano o citazione di citazioni.

Come scrive I. Calvino nella III. delle sue Lezioni americane:
«Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:
1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;
2) l‘evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili;
3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione».

Preliminarmente, nella galassia bibliografica sull’Alto Medioevo, oltre alle singole storie delle letterature, delle tradizioni linguistiche e culturali, potrebbe risultare utile la consultazione di una serie di lavori generali molto diversi (eventualmente riferiti anche a epoche precedenti o successive). Tra questi, accanto a riviste specialistiche come ad es., in Italia, «Filologia germanica – Germanic Philology», vi sono  i preziosi volumi del Reallexikon der Germanischen Altertumskunde (35+2); quelli de Lo spazio letterario del Medioevo, Salerno Editore, e le singole voci del Dictionary of the Middle Ages (ed. by J. Strayer) e del Handbook of Medieval Studies (ed. by A. Classen) o gli articoli introduttivi di P. G. Scardigli “La cultura germanica (± dal II sec. a.C. alla conversione)“, in Lo spazio letterario del Medioevo. Il Medioevo latino – I. La produzione del testo, Salerno Editore, 1992: 45-79 e “Le lingue germaniche”, in Lo spazio letterario del Medioevo. Il Medioevo latino – II. La circolazione del testo, Salerno Editore, 1994: 113-152.

Si vedano inoltre altre opere di riferimento quali ad es.: Riché P., Le scuole e l’insegnamento nell’Occidente cristiano dalla fine del V secolo alla metà dell’XI secolo, Jouvence, 1984 [tit. orig.: Écoles et enseignement dans le Haut Moyen Âge, 1979]; Luiselli B., Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico, Herder, 1992; Luiselli Fadda A. M., Tradizioni manoscritte e critica del testo nel Medioevo germanico, Laterza, 1994; See K. von (hg. von), Europäisches Frühmittelalter – Bd. 6, Aula Verlag, 1985; Oldoni M., Culture del Medioevo. Dotta, popolare, orale, Donzelli, 1999 (anche in AA.VV., Storia Medievale, c. XV, Donzelli, 1998: 387-433); l’ormai ‘canonico’ Assmann J., La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politca nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, 1997; Wood I., The Modern Origins of Early Middle Ages, Oxford Univ. Press, 2013; Roberto, U., Il nemico indomabile. Roma contro i Germani, Laterza, 2018; Bull, M., Thinking Medieval. An Introduction to the Study of the Middle Ages, Palgrave/ McMillan, 2005; D’Arcens, L. (ed. by), The Companion to Medievalism, Cambridge Univ. Pr., 2016; Simons, J., From Medieval to Medievalism, McMillan, 1992; Groebner, V., Das Mittelalter hört nicht auf. Über historisches Erzählen, C. H. Beck, 2004; Wapnewski, P. (hg. von), Mittelaterrezeption, Metzler, 1986; Kozielek, G., Mittelalterrezeption. Texte zur Aufnahme altdeutscher Literatur in der Romantik, M. Niemeyer, 1977; Leersen, J. (ed. by), Encyclopedia of Romantic Nationalism I-II, Amsterdam Univ. Pr., 2018; Eco, U., La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, 1993; Considine, J., Dictionaries in Early Modern Europe, Cambridge University Press, 2008; Krebs, Chr. B., A most dangerous book: Tacitus’s “Germania” from the Roman empire to the Third Reich, Norton&Co., 2011; Bildhauer, B., Jones, Chr. (ed. by), The Middle Ages in the Modern World, Oxford University Press, 2017; Zumthor P., Parler du Moyen Age, Les Editions de Minuit, 1980; Gurevič A. Y., Le categorie della cultura medievale, Einaudi, 1983 o Id., Contadini e santi. Problemi della cultura popolare nel Medioevo, Einaudi, 1986; Jauss H. R., Alterità e modernità della letteratura medievale, Bollati Boringhieri, 1989; Geary, P.J., Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa, Carocci, 2009; Fabietti, U., L’identità etnica: storia e critica di un concetto equivoco, NIS, 1995; Aime, M., Il primo libro di antropologia, Einaudi, 2008; Pohl, W., Le origini etniche dell’Europa. Barbari e Romani tra antichità e Medioevo, Viella, 2000; Ghosh S., Writing the Barbarian Past. Studies in Early Medieval Historical Narrative, Brill, 2015; McKitterick R. (ed. by), The Uses of Literacy in Early Medieval Europe, Cambridge University Press, 1990; Richter M., The Oral Tradition in the Early Middle Ages, Brepols, 1994; Irvin M., The Making of Textual Culture: “Grammatica” and Literary Theory, 350-1100, Cambridge University Press, 1994; Matera V., Sanfilippo M., Da Omero ai cyberpunk. Archeologia del villaggio globale, Castelvecchi, 1995; Sanfilippo M., Il Medioevo secondo Walt Disney. Come l’America ha reinventato l’età di mezzo, Castelvecchi, 1993; Allen G., Intertextuality, Routledge, 2000; Contreni J. J. (ed.), Carolingian Learning. Masters and Manuscripts, Variorum, 1992; Buzzoni M., Bampi M. (a cura di), The Garden of Crossing Paths: The Manipulation and Rewriting of Medieval Texts, Cafoscarina, 2005; Hen Y., Roman Barbarians. The Royal Court and Culture in the Early Medieval West, Macmillan, 2007; Saibene M. G., Francini M. (a cura di), Eroi di carta e celluloide – Il Medioevo germanico nelle forme espressive moderne, in «Il confronto letterario», Baroni, 2003; Chatman S., Storia e discorso, Pratiche, 1983; Duff D. (ed. by), Modern Genre Theory, Longman 2000; Doane A. N., Pasternack (ed. by), Vox Intexta. Orality and Textuality in the Middle Ages, University of Wisconsin Press, 1991; Ferrari F., Bampi M. (a cura di), Storicità del testo. Storicità dell’edizione, Univ. d. Studi di Trento, 2009; Geary P., Language and Power in the Middle Ages, Brandeis Un. Pr., 2013; Garrison M. et al., Spoken and written Language. Relations between Latin and Vernacular Languages in the Earlier Middle Ages, Brepols, 2013; Buzzoni M., Cammarota M. G., Francini M. (a cura di), Medioevi moderni – Modernità del Medioevo, Edizioni Ca’ Foscari, 2013. Altri lavori interessanti di natura critica e propedeutica sono: Turner J., Philology : The Forgotten Origins of the Modern Humanities, Princeton University Press, 2014; Pollock S., Elman B. A., Chang K-M. K. (ed. by), World Philology, Harvard University Press, 2015; Hamacher W., MINIMA PHILOLOGICA, [transl. by C. Diehl, J. Groves], Fordham University Press, 2015; oltre ad articoli quali, ad es.: Driscoll M., “The Words on the Page: Thoughts on Philology, Old and New” in Quinn J., Lethbridge E. (ed. by), Creating the Medieval Saga. Versions, Variability and Editorial Interpretations of Old Norse Saga Literature, University Press of Southern Denmark, 2010: 87-104 (+ Bibliogr. 289-324); Parker H., “What Is It That Philologists Do Exactly?” in Clivaz C. et al. (par), Lire Demain. Des manuscrits à l’ère digitale, Presses polytechniques et universitaires romandes, 2012: 151-174 (scaricabile direttamente al sito dell’autore su Academia.edu); Scibetta, S.A.,Proposte per un approccio teorico alla filologia“, Diacritica, V,4 (2019): 13-59; Shippey T., “Response to three papers on «Philology: Whence and Whiter?»”, Heroic Age 11 (2007) (scaricabile dal link: http://www.heroicage.org/issues/11/foruma.php#shippey).

Nel lavoro di tesi, che ricordo essere una prova ufficiale di esame, sono da evitare dediche a fidanzate/fidanzati, genitori, parenti, figli, amici e altro. Ritengo inoltre inopportuni i ringraziamenti al relatore, il quale (come giustamente ricorda U. Eco) compie soltanto il proprio dovere.

Scrivere bene non significa impiegare uno stile umanistico, né far sfoggio di una retorica di altri tempi, di parole arcaiche e rare o il cui uso segue una moda impropria (cfr. ad es.: temi vs tematiche; problemi vs problematiche…). Come ricorda recentemente Claudio Giunta (cfr. di seguito), scrivere bene significa scrivere in modo chiaro e possibilmente semplice, condizione che deriva quasi sempre dalla conoscenza precisa dell’argomento di cui si parla, come recita già la formula latina Rem tene, verba sequentur (“Conosci il concetto e vedrai che le parole verranno da sé”). Un consiglio è quello di scrivere e rileggere (meglio se a voce alta, soprattutto per rendere efficace la punteggiatura) e correggere, ‘ripulire’ e rileggere, finché il testo scorre, privo di ripetizioni di parole, di rime o assonanze involontarie (ma fastidiose) e di errori di grammatica. Sì, errori di grammatica (frequenti), i quali, insieme a quelli di impostazione generale, penalizzano spesso i tempi di conclusione del lavoro, indipendentemente dalla difficoltà dell’argomento scelto. Per tale ragione, è vivamente consigliata la consultazione (ed eventualmente l’approfondimento) di opere di supporto alla scrittura argomentativa e alla redazione di lavori scientifici. Tra queste, mi sento di caldeggiare la partecipazione al progetto Pandoracampus

https://www.pandoracampus.it/scriverebene?&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Scrivere+bene+per+pensare+bene%3A+Corso+di+scrittura+%5B7048%5D

o di testi quali:

  1. Lesina, R. (1986): Il manuale di stile, Bologna, Zanichelli
  2. Bruni, F. (et al.) (2013): Manuale di scrittura e comunicazione [3. ediz.], Bologna, Zanichelli
  3. Tiberii, P. (2012): Dizionario delle collocazioni, Bologna, Zanichelli
  4. Giunta, C. (2018), Come non scrivere, Torino, UTET
  5. Lo Cascio, V. (a cura di) (2012): Dizionario combinatorio compatto italiano, Amsterdam/Philadelphia, John Benjamin Publ. Comp.
  6. Baratelli, B. (2015): Scrivere bene. Dieci regole e qualche consiglio, Bologna, Il Mulino
  7. Cignetti, L., Demartini, S. (2016): L’ortografia, Roma, Carocci
  8. Serafini, F. (2014): Questo è il punto. Istruzioni per l’uso della punteggiatura, Roma/Bari, Laterza
  9. De Benedetti, A. (2015): La situazione è grammatica, Torino, Einaudi
  10. Cignetti, L. (2014): Il piacere di scrivere. Guida all’italiano del terzo millennio. Prefazione di Luca Serianni, Roma, Carocci
  11. Eco, U. (1977):  Come si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani
  12. Tuzzi, A.: “Come si scrive una tesi di laurea?“, scaricabile al sito: ‹http://www.arjuna.it/materiali_ita/Come_si_scrive_una_tesi_di_laurea.pdf

alcuni contributi sul web di Claudio Giunta, come

“Saper scrivere è così importante?” ‹http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2017-02-12/saper-scrivere-e-cosi-importante-081317.shtml?uuid=AErgGfU&refresh_ce=1›, oppurehttp://www.letteratura.rai.it/articoli-programma-puntate/claudio-giunta-come-non-scrivere/39759/default.aspx› o ancorahttps://www.esquire.com/it/cultura/libri/a18657533/recensione-come-non-scrivere-giunta/›

accanto all’assiduo ricorso a un buon dizionario italiano dei sinonimi, strumento indispensabile e purtroppo quasi sempre ignorato. L’uso dei sinonimi richiede tuttavia di procedere con cautela e prudenza, caso per caso, poiché il più delle volte essi esprimono un’analogia semantica e NON una completa identità.

Scrivere bene implica leggere bene. Non solo rendendosi conto del significato superficiale di un testo, ma cogliendone l’argomentazione e le connotazioni espressive e attivando tutte le conoscenze culturali necessarie. Si tratta di un processo niente affatto semplice, il cui ‘laboratorio’, la cui ‘palestra’ per eccellenza resta solo e soltanto la scuola. Si leggano le efficaci parole del compianto Luca Serianni, in un intervento pubblicato dall’Indice nel luglio 2022, a poca distanza dalla morte del grande linguista italiano: https://bit.ly/486Z30j

Per la redazione dell’elaborato si richiede di attenersi a quanto stabilito nel mio Normario qui allegato (_Normario-Redazionale-2021).

*** Può risultare inoltre utile la consultazione del testo di Jørgen Carling, del Peace Research Institute Oslo (PRIO, 2015: ‹Carling_2015_Acad_paper›) dedicato alla scrittura accademica.

Di seguito, si allega il testo di una celebre Bustina di Minerva di Umberto Eco (Bompiani, 2000), con alcuni fondamentali consigli su «Come scrivere bene»:

  1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
  2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
  3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
  4. Esprimiti siccome ti nutri.
  5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
  6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
  7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
  8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
  9. Non generalizzare mai.
  10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
  11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
  12. I paragoni sono come le frasi fatte.
  13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
  14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
  15. Sii sempre più o meno specifico.
  16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
  17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
  18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
  19. Metti, le virgole, al posto giusto.
  20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
  21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
  22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
  23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
  24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
  25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
  26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
  27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
  28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
  29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
  30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
  31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
  32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
  33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
  34. Non andare troppo sovente a capo.
    Almeno, non quando non serve.
  35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
  36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
  37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
  38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
  39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
  40. Una frase compiuta deve avere.

7 FRASI DA EVITARE PER NON SEMBRARE UN(A) ANALFABETA FUNZIONALE:
  1. “a me una volta è successo che…”: sulla terra siamo 7 miliardi di persone, quindi quello che è successo a te costituisce “un settemiliardesimo” delle ipotesi possibili. L’esperienza personale non è una legge universale.
  2. “ho letto su internet che…”: su internet c’è tutto, il contrario di tutto e tutte le sfumature che ci stanno in mezzo; se non hai le competenze specifiche per distinguere ciò che è plausibile da ciò che è inverosimile, quello che hai letto tu non significa assolutamente nulla perché tanto su internet c’è sempre anche il suo esatto contrario.
  3. “non credo alla versione/teoria ufficiale, dimostrami tu che è valida”: una versione/teoria ufficiale è tale proprio perché gode già del supporto probatorio necessario per essere considerata preferibile a tutte le altre. Pertanto, se non credi alla versione ufficiale spetta a te l’onere di provare perché questa sia errata, e anche perché la tua sia invece valida. Pretendere l’inversione dell’onere della prova è un atteggiamento profondamente illogico e antiscientifico. Il fatto che tu non comprenda il contenuto di quelle prove non significa che quelle prove non esistano o non siano valide, significa solo che tu non hai gli strumenti e le conoscenze per comprenderle.
  4. “ci guadagnano sopra, quindi sicuramente c’è qualcosa sotto”: se escludete i volontari e gli stagisti, tutte le professioni del mondo sono a scopo di lucro, quindi tutti noi guadagniamo da quello che facciamo. Ciò non ci rende tutti automaticamente parte di un qualche complotto o sotterfugio.
  5. “Quella volta è accaduto che…, quindi anche questa volta…”: “quella volta” è diversa da “questa volta”. Se una cosa capita in una occasione non c’è nessuna legge che stabilisce automaticamente che accada sempre e a tutti. Se un medico vende organi sotto banco, non significa che tutti i medici lo facciano ogni giorno; se un ingegnere sbaglia i calcoli, non significa che tutti gli ingegneri siano cani e non sappiano fare il loro lavoro; se un avvocato prende una mazzetta, non significa che tutti gli avvocati siano corrotti o corruttibili. Serve una prova specifica per ogni singolo caso.
  6. “tu hai la tua opinione, io ho diritto ad avere la mia”: questo è un principio sacrosanto quando si parla di preferire le bionde o le brune, il mare o la montagna, la Juve o il Milan. Ma quando si parla di argomenti scientifici, la tua opinione non conta assolutamente nulla se non hai competenze e ragioni tecniche che possano dimostrare la validità di quella opinione; o forse pretendi di avere un’opinione anche su come si calcola l’area del triangolo?
  7. “non mi fido della roba chimica, quindi…”: la chimica spiega la composizione della materia in generale, di conseguenza tutto ciò che esiste nell’universo è chimico. L’acqua ad esempio è composta di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, quindi è fatta di sostanze chimiche. E lo sei anche tu.
Se il vostro ragionamento si basa su uno o più di questi presupposti, sappiate che il vostro approccio è stupido, illogico e antiscientifico, quindi evitate di renderlo pubblico. Ne va della vostra reputazione.
Dario Bressanini
(E ora, due risate per spezzare la pesantezza… ;))
Da: U. Eco, Secondo Diario Minimo. Come rispondere alla domanda: “Come va?
Icaro: “Uno schianto”
Proserpina: “Mi sento giù”
Prometeo: “Mi rode…”
Teseo: “Finché mi danno corda…”
Edipo: “La mamma è contenta”
Damocle: “Potrebbe andar peggio”
Priapo: “Cazzi miei”
Ulisse: “Siamo a cavallo”
Omero: “Me la vedo nera”
Eraclito: “Va, va…”
Parmenide: “Non va”
Talete: “Ho l’acqua alla gola”
Epimenide: “Mentirei se glielo dicessi
Demostene: “Difficile a dirsi”
Pitagora: “Tutto quadra”
Ippocrate: “Finché c’è la salute…”
Socrate: “Non so”
Giobbe: “Non mi lamento, basta aver pazienza”
Onan: “Mi accontento”
Sheherazade: “In breve, ora le dico…”
Boezio: “Mi consolo”
Carlo Magno: “Francamente bene”
Dante: “Sono al settimo cielo”
Giovanna d’Arco: “Si suda”
San Tommaso: “Tutto sommato bene”
Erasmo: “Bene da matti”
Colombo: “Si tira avanti”
Lucrezia Borgia: “Prima beve qualcosa?”
Giordano Bruno: “Infinitamente bene”
Lorenzo de’ Medici: “Magnificamente”
Cartesio: “Bene, penso”
Berkeley: “Bene, mi sembra”
Hume: “Credo bene”
Pascal: “Sa, ho tanti pensieri…”
Enrico VIII: “Io bene, è mia moglie che…”
Galileo: “Gira bene”
Torricelli: “Tra alti e bassi”
Desdemona: “Dormo tra due guanciali…”
Newton: “Regolarmente”
Leibniz: “Non potrebbe andar meglio”
Spinoza: “In sostanza, bene”
Hobbes: “Tempo da lupi”
Papin: “Ho la pressione alta”
Montgolfier: “Ho la pressione bassa”
Franklin: “Mi sento elettrizzato”
Robespierre: “Cè da perderci la testa”
Marat: “Un bagno”
Casanova: “Vengo”
Goethe: “C’è poca luce”
Beethoven: “Non mi sento bene”
Schubert: “Non mi interrompa, per Dio”
Novalis: “Un sogno”
Leopardi: “Sfotte?”
Foscolo: “Dopo morto, meglio”
Manzoni: “Grazie a Dio, bene”
Sacher-Masoch: “Grazie a Dio, male”
Sade: “A me bene”
D’Alambert e Diderot: “Non si può dire in due parole”
Kant: “Situazione critica”
Hegel: “In sintesi, bene”
Schopenhauer: “La volontà non manca
Paganini: “L’ho già detto”
Darwin: “Ci si adatta”
Livingstone: “Mi sento un po’ perso”
Nievo: “Le dirò, da piccolo…”
Nietzsche: “Al di là del bene, grazie”
Mallarme’: “Sono andato in bianco”
Proust: “Diamo tempo al tempo”
Henry James: “Secondo i punti di vista”
Kafka: “Mi sento un verme”
Musil: “Così così”
Joyce: “Fine yes yes yes”
Nobel: “Sono in pieno boom”
Larousse: “In poche parole, male”
Curie: “Sono raggiante”
Dracula: “Sono in vena”
Picasso: “Va a periodi”
Ungaretti: “Bene (a capo) grazie”
Fermi: “O la va o la spacca”
Camus: “Di peste”
Matusalemme: “Tiro a campare”
Lazzaro: “Mi sento rivivere”
Giuda: “Al bacio”
Ponzio Pilato: “Fate voi”
San Pietro: “Mi sento un cerchio alla testa”
Nerone: “Guardi che luce”
Maometto: “Male, vado in montagna”
Savonarola: “E’ il fumo che mi fa male”
Orlando “Scusi, vado di furia”
Cyrano: “A naso, bene”
Alice: “Una meraviglia”
Verga: “Di malavoglia”
Heidegger: “Quante chiacchiere!”
Grimm: “Una favola!”

Consiglio infine la lettura del seguente articolo di Lisa Wade, tratto da Business Insider del 26/08/2014, dal titolo:

10 Things every college professor hates

È una realtà non italiana, ma molto, molto affine a quella che conosco, a cominciare dall’orrendo “Salve prof.!” (Grazie per non usarlo).

I got this email from an Ivy League student when I arrived to give a speech. She was responsible for making sure that I was delivered to my hotel and knew where to go the next day:

Omg you’re here! Ahh i need to get my s–t together now lol. Jk. Give me a ring when u can/want, my cell is [redacted]. I have class until 1230 but then im free! i will let the teacher she u will be there, shes a darling. Perhaps ill come to the end of the talk and meet you there after. Between the faculty lunch and your talk, we can chat! ill take make sure the rooms are all ready for u. See ya!

To say the least, this did not make me feel confident that my visit would go smoothly.

I will use this poor student to kick off this year’s list of Professors’ Pet Peeves. I reached out to my network and collected some things that really get on instructors’ nerves. Here are the results: some of the “don’ts” for how to interact with your professor or teaching assistant. For what it’s worth, No. 2 was by far the most common complaint.

1. Don’t use unprofessional correspondence.

Your instructors are not your friends. Correspond with them as if you’re in a workplace, because you are. We’re not saying that you can’t ever write like this, but you do need to demonstrate that you know when such communication is and isn’t appropriate. You don’t wear pajamas to a job interview, right? Same thing.

2. Don’t ask the professor if you “missed anything important” during an absence.

No, you didn’t miss anything important. We spent the whole hour watching cats play the theremin on YouTube!

Of course you missed something important! We’re college professors! Thinking everything we do is important is an occupational hazard. Here’s an alternative way to phrase it: “I’m so sorry I missed class. I’m sure it was awesome.”

If you’re concerned about what you missed, try this instead: Do the reading, get notes from a classmate (if you don’t have any friends in class, ask the professor if they’ll send an email to help you find a partner to swap notes with), read them over, and drop by office hours to discuss anything you didn’t understand.

3. Don’t pack up your things as the class is ending.

We get it. The minute hand is closing in on the end of class, there’s a shift in the instructor’s voice, and you hear something like “For next time …” That’s the cue for the students to start putting their stuff away. Once one person does it, it’s like an avalanche of notebooks slapping closed, backpack zippers zipping, and cell phones coming out.

Don’t do it.

Just wait 10 more seconds until the class is actually over. If you don’t, it makes it seem as if you are dying to get out of there and, hey, that hurts our feelings!

4. Don’t ask a question about the readings or assignments until checking the syllabus first.

It’s easy to send off an email asking your instructor a quick question, but that person put a lot of effort into the syllabus for a reason. Remember, each professor has dozens or hundreds of students. What seems like a small thing on your end can add up to death-by-a-thousand-paper-cuts on our end. Make a good-faith effort to figure out the answer before you ask the professor.

5. Don’t get mad if you receive critical feedback.

If an instructor takes a red pen and massacres your writing, that’s a sign that they care. Giving negative feedback is hard work, so the red ink means that we’re taking an interest in you and your future. Moreover, we know it’s going to make some students angry with us. We do it anyway because we care enough about you to try to help you become a stronger thinker and writer. It’s counterintuitive, but lots of red ink is probably a sign that the instructor thinks you have a lot of potential.

6. Don’t grade grub.

Definitely go into office hours to find out how to study better or improve your performance, but don’t go in expecting to change your instructor’s mind about the grade. Put your energy into studying harder on the next exam, bringing your paper idea to the professor or teaching assistant in office hours, doing the reading, and raising your hand in class. That will have more of a payoff in the long run.

7. Don’t futz with paper formatting.

Paper isn’t long enough? Think you can make the font a teensy bit bigger or the margins a tad bit wider? Think we won’t notice if you use a 12-point font that’s just a little more widely spaced? Don’t do it. We’ve been staring at the printed page for thousands of hours. We have an eagle eye for these kinds of things. Whatever your motivation, here’s what they say to us: “Hi Prof!, I’m trying to trick you into thinking that I’m fulfilling the assignment requirements. I’m lazy and you’re stupid!” Work on the assignment, not the document settings.

8. Don’t pad your introductions and conclusions with fluff.

Never start off a paper with the phrase, “Since the beginning of time …” “Since the beginning of time, men have engaged in war.” Wait, what? Like, the big bang? And, anyway, how the heck do you know? You better have a damn strong citation for that! “Historically,” “Traditionally,” and “Throughout history” are equally bad offenders. Strike them from your vocabulary now.

In your conclusion, say something smart. Or, barring that, just say what you said. But never say: “Hopefully someday there will be no war.” Duh. We’d all like that, but unless you’ve got ideas as to how to make it that way, such statements are simple hopefulness and inappropriate in an academic paper.

9. Don’t misrepresent facts as opinions and opinions as facts.

Figure out the difference. Here’s an example of how not to represent a fact, via CNN:

Considering that Clinton’s departure will leave only 16 women in the Senate out of 100 senators, many feminists believe women are underrepresented on Capitol Hill.

Wait. Feminists “believe”? Given that women are 51% of the population, 16 out of 100 means that women are underrepresented on Capitol Hill. This is a social fact, yeah? Now, you can agree or disagree with feminists that this is a problem, but don’t suggest, as CNN does, that the fact itself is an opinion.

This is a common mistake, and it’s frustrating for both instructors and students to get past. Life will be much easier if you know the difference.

10. Don’t be too cool for school.

You know the student who sits at the back of the class, hunches down in his or her chair, and makes an art of looking bored? Don’t be that person. Professors and teaching assistants are the top 3% of students. They most likely spent more than a decade in college. For better or worse, they value education. To stay on their good side, you should show them that you care, too. And, if you don’t, pretend as if you do.

Read more: http://thesocietypages.org/socimages/2014/08/25/professors-pet-peeves/#ixzz3Br4P6mGq

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