Un episcopio trasformato in hotel. Come difendersi dagli abusi?

In più occasioni mi sono soffermato sugli effetti negativi prodotti dalla scarsa conoscenza del diritto canonico nella Chiesa stessa. Fra le tante criticità, ho posto particolare attenzione al tema degli abusi sessuali e patrimoniali. Sesso e ricchezza costituiscono due versanti su cui si colloca la scivolosa strada della doppia morale: “dovete essere casti” e “dovete essere (se non poveri) almeno sobri”.

Su entrambe le questioni non ho trovato grande sostegno. La scienza canonistica (ma esiste ancora una “scienza canonistica”?) glissa o ignora; gli officiali propongono ostacoli pragmatici (“non è facile”, “bisogna approfondire”, “non è proprio così …”, “Professore ha ragione, ma poi in pratica…”).

Un tema fra gli altri appare a mio avviso particolarmente controverso, ossia l’interpretazione del canone 1254, che al §1 dichiara il “diritto nativo della Chiesa cattolica di acquistare, possedere, amministrare e alienare beni temporali per conseguire i fini che le sono propri”. Molto bene. Chiarissimo: la Chiesa può possedere  a diverso titolo beni temporali (case, palazzi, chiese, terreni, eccetera) per conseguire i fini che le sono propri. Non per altre ragioni.

Il §2 precisa che i fini propri sono: “ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato e carità, specialmente a servizio dei poveri”. Molto chiaro anche qui: si ripete la tradizionale tripartizione delle finalità dei beni nella Chiesa: per il culto, per sostenere i ministri sacri, per i poveri. Peccato che un avverbio latino sia caduto nel mezzo dell’incipit. Un bel precipue avverte che i fini propri della Chiesa sono principalmente questi. Non voglio fare il latinista, e quindi non insisto sul fatto che precipue potrebbe essere tradotto anche con precipuamente, sostanzialmente e via dicendo.

Quel che non capisco è come sia possibile interpretarlo non nel senso rafforzativo delle finalità proprie, ma all’opposto attribuendogli un valore limitativo: queste certamente, ma anche altre. Va bene, vi seguo. Anche altre. Malati, non necessariamente poveri in canna; profughi, anche ricchi; pellegrini; affamati momentanei. D’accordo: provvediamo anche alla conservazione dell’enorme patrimonio artistico. Musei diocesani, cattedrali e duomi (anche se non servono più per assenza di popolo cristiano, chiunque può goderne le bellezze).

Ma è accettabile trasformare un episcopio in un hotel? Capisco che un Istituto diocesano per il sostentamento del clero si presenti come un’agenzia immobiliare: il suo compito è quello di valorizzare i beni che possiede per remunerare i chierici (anche se un po’ di sobrietà non guasterebbe). Ma è lecito ad una diocesi sviluppare investimenti mobiliari rischiosi? Vuol dire che i beni dei poveri sono messi a rischio, precipue, beninteso. Ci si potrebbe anche guadagnare. Ma è lecito che una diocesi si produca in attività manageriale di carattere finanziario perché ci si potrebbe guadagnare?

Può capitare che una diocesi si trovi coinvolta nella gestione di attività industriali, e con le dovute cautele possa servirsi degli utili per raggiungere le finalità proprie della Chiesa (è il caso della diocesi di Bologna). Ma in linea di principio, come ogni canonista dovrebbe sapere, il diritto della Chiesa impone molta prudenza, fino al punto di accentrare presso il Romano Pontefice l’autorità connessa all’esercizio del diritto di proprietà di tutti i beni ecclesiastici; tutti. Siano essi in dominio di  un seminario, una diocesi, una parrocchia, un Istituto religioso, ….

L’assenza della prudenza, connessa alla mancata applicazione del diritto canonico, ha generato mostri. Lasciamo stare lo IOR (che faticosamente cerca di tornare ad essere un Istituto di servizio alla Chiesa lasciando alle spalle un passato che dire torbido è dire poco), ma vogliamo ricordare i Frati minori? Anche qui, a partire dalla gestione di un albergo, si aprì una voragine finanziaria. Il Ministro generale scrisse una lettera ammettendo le colpe (Lettera del 17 dicembre 2014, non più presente sul sito; si può vedere però qui l’effetto attuale); anche la Santa Sede è intervenuta autorevolmente, per chiarire cose che sarebbero già dovute essere chiare.

Possibile che le vicende del San Raffaele, dell’Istituto dermopatico dell’Immacolata, del Fatebenefratelli, dei Camilliani, della Casa della Divina Provvidenza, per restare alla cara Italia, non abbiano insegnato niente? La vicenda slovena è caduta nell’oblio?

Papa Francesco ebbe a dire nel 2013 “I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati”Eppure la Conferenza episcopale italiana non teme di cadere in contraddizione, anzi fa pubblicità al turismo religioso, per i poveri; beninteso.

Strano venerdì santo del 2019. Non riesco però a non credere che questi pensieri molto materiali abbiano a che fare con la vita spirituale. Di abuso in abuso si cade in un baratro senza fine. Si risorgerà. Ma fino a che punto si dovrà prima sprofondare? Non ci è bastato l’abbassamento di Uno?

 

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