L’insegnamento di “Diritto canonico” del corrente anno accademico prevedeva un approfondimento del tema degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica. Quasi al termine della sua trattazione, abbiamo potuto leggere gli “appunti” scritti da Joseph Ratzinger, diffusi l’11 aprile 2019 in più lingue da molti siti mondiali. Abbiamo analizzato la versione italiana e sviluppato alcuni commenti, che credo possa essere utile diffondere, anche perché danno voce alle impressioni suscitate – ovviamente, sotto la guida del sottoscritto – da un gruppo di giovani studentesse e studenti di giurisprudenza di una Università statale.
- La questione degli abusi sessuali nella Chiesa non è il vero nodo del documento. L’Autore prende lo spunto da questo tema per esprimere considerazioni di diverso tenore. Sembra che, nonostante alcune dichiarazioni di fedeltà al magistero pontificio (in premessa e alla fine), si voglia offrire un diverso punto di vista. Ciò è legittimo, salvo considerare con più attenzione che la fonte delle critiche ha ricoperto importanti ruoli di responsabilità nella Chiesa cattolica, fra cui quello di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede (1981-2005) e romano pontefice (2005-2013); nonché è tuttora l’unico “papa emerito” della storia e, nonostante la rinuncia all’ufficio petrino, si firma col nome di Benedetto XVI. Si deve ritenere che egli sia pertanto fra le persone più informate dei fatti relativi a questa piaga, e che abbia istituzionalmente contribuito alle scelte di governo della materia ai massimi livelli.
In particolare, egli ha gestito – come Prefetto – il caso Maciel e – come romano pontefice – il caso irlandese, che possono essere considerati i fenomeni più evidenti dell’inizio di una politica ecclesiale di reazione al precedente indirizzo di silenzio e copertura degli abusi (simbolicamente rappresentabili dal caso ‘promoveatur ut amoveatur’ del card. Law, che nel 2002 venne spostato a Roma a causa dello scandalo degli abusi nella sua diocesi, rappresentati anche dal film Spotlight del 2015).
- La lettura retrospettiva di Ratzinger colpisce per il silenzio assoluto verso le vittime degli abusi. Egli afferma di aver avuto diversi colloqui con loro, da cui ha paradossalmente tratto solo la consapevolezza della necessità di recuperare – come reazione agli abusi sessuali – il senso profondo del sacramento dell’eucarestia, che ritiene essere ormai avvertita “solo come un gesto cerimoniale”. A questo proposito cita l’episodio di una chierichetta abusata con le parole “Questo è il mio corpo dato per te”: da cui trae la conclusione che “dobbiamo fare di tutto per proteggere dall’abuso il dono della Santa Eucaristia”.
- La scarsa consecutio logica delle affermazioni presenti nel documento – che ne giustificano la formalizzazione come semplici ‘appunti’ – si può osservare anche attraverso la presenza di alcuni veri e propri errori, incompatibili con la cultura propria di un uomo che è stato professore di teologia per oltre venti anni. Ad esempio, la definizione della “Chiesa come luce delle genti”, quando per la fede cattolica Cristo – e non la Chiesa – è luce delle genti; o anche l’affermazione del diritto canonico come strumento di protezione della fede, quando invece esso è strumento di comunione volto a sostenere la salvezza delle anime.
- La ricostruzione del contesto sociale in cui – secondo l’Autore – sarebbe maturata una sensibilità favorevole alla pedofilia è fortemente condizionata da emozioni personali non corredate da un’analisi del contesto. Egli si sforza “di mostrare come negli anni ’60 si sia verificato un processo inaudito, di un ordine di grandezza che nella storia è quasi senza precedenti” e giunge ad “affermare che nel ventennio 1960-1980 i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità sono venuti meno completamente e ne è risultata un’assenza di norme alla quale nel frattempo ci si è sforzati di rimediare”. Colpisce che sono messi sotto accusa – sebbene limitatamente alla questione sessuale – proprio gli anni in cui è maturato il Concilio Vaticano II e si è sviluppata la sua recezione giuridica. In ogni caso, egli argomenta sulla base di ricordi personali che lo hanno evidentemente traumatizzato: in particolare cita l’avvio dei programmi scolastici di educazione sessuale nelle scuole tedesche e austriache, la visione di una folla in attesa davanti ad un cinema che proiettava film pornografici, la vista – proprio un Venerdì Santo di cinquant’anni fa – di una locandina cinematografica che mostrava corpi nudi abbracciati. Sulla base di questi ricordi, costruisce la tesi di un collasso spirituale collegato alla proliferazione di violenza direttamente connessa alla visione di materiale pornografico e – con stupefacente semplicità – conclude che di questo clima dovuto alla Rivoluzione del 1968 “fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente”. Quest’ultima tremenda affermazione circa la convenienza e accettabilità della pedofilia è affatto indimostrabile. Impossibile credere che sia collegata anch’essa a ricordi personali. In ogni caso, egli attribuisce la crisi delle vocazioni sacerdotali e l’enorme numero di dimissioni dallo stato clericale (formula impropria, ma nel testo tedesco si legge ‘laicizzazioni’) registrata in quegli anni a questo processo di liberalizzazione sessuale. Ciò dimostra una propensione a centralizzare il tema della sessualità rispetto a tutte le altre criticità che la Chiesa stessa aveva diagnosticato come “segni dei tempi” che la spingevano a riflettere su se stessa, con una chiara tendenza sessuofobica.
- Sulla base di queste deboli premesse contestuali, e in parte in modo indipendente da queste, l’Autore si concentra poi a sviluppare un attacco alla teologia morale cattolica, di cui accusa il “collasso”. In particolare, critica la ricerca di fondamenti biblici sostitutivi, o comunque ulteriori, rispetto a quelli di matrice giusnaturalista che l’avevano caratterizzata. Sappiamo che lo sviluppo della teologia morale è storicamente rapportabile al contemporaneo declino del diritto canonico, che dal Cinquecento smette di essere un punto di riferimento per la Chiesa cattolica e che ancora oggi porta talvolta a minimizzare il ruolo del diritto a vantaggio di quello della morale.
L’Autore sembra non essersi ancora ripreso dal trauma di una teologia morale biblicamente fondata e capace di analisi critica, simbolicamente enunciata dalla “Dichiarazione di Colonia” del 1989 ( per lo sviluppo delle perplessità teologiche in Italia, si può leggere la coeva Lettera ai cristiani). Sono questi gli anni in cui l’Autore degli appunti svolge la funzione di Prefetto della S. Congregazione per la Dottrina della fede, e in questa veste firma l’Istruzione Donum veritatis, promuove l’Enciclica Veritatis splendor e la prima redazione del Catechismo della Chiesa cattolica, cui nel 2005 seguirà un Compendio, voluto dal papa Benedetto XVI.
Appare evidente che l’Autore degli appunti avesse sviluppato una sua chiara visione circa le criticità morali e al tempo stesso abbia costruito una reazione magisteriale di lungo periodo, che tuttavia alla prova dei fatti non pare aver colto nel segno, essendosi dimostrata inefficace.
- Colpisce il tono poco caritatevole con cui viene ricordato il teologo morale svizzero Franz Böckle, coetaneo di Ratzinger, che si era dichiarato pronto a criticare la prassi magisteriale tesa a consolidare valori morali intoccabili, di cui si legge “Il buon Dio gli risparmiò la realizzazione del suo proposito; Böckle morì l’8 luglio 1991”. Comprendiamo la resistenza circa l’affermazione di un completo relativismo morale, ma siamo in grado – benché incompetenti – di apprezzare le potenzialità di una morale relazionale.
- Comprendiamo l’importanza del martirio nella vita cristiana. Ci sembra tuttavia poco caritatevole – e in parte storicamente e teologicamente errato – limitare questa categoria concettuale al solo martirio usque ad effusionem sanguinis. Oltre alla categoria dei martiri uccisi in nome della fede, il magistero pontificio ha recentemente istituito la categoria dei martiri della carità: coloro che offrono la propria vita per amore (vedi il M. P. Maiorem hac dilectionem, 2017). Questa affermazione di Ratzinger appare se non contraddittoria rispetto al magistero pontificio, almeno incompleta; oltre a caricare i cattolici – specialmente quelli che vivono in contesti di persecuzione – di un peso forse insopportabile.
- L’idea di istituire un doppio grado di appartenenza alla Chiesa, giustificato dalla primitiva tradizione del catecumenato, basato oggi sulla necessità di far vivere un previo acclimatamento morale prima di potersi dire pienamente inseriti nel corpo della Chiesa, sembra persino eretica. Distinguere due classi di battezzati significa incidere sulla sacramentalità della comunione del popolo di Dio. Forse l’Autore degli appunti immagina un catecumenato previo al battesimo? Vuole tornare all’antica prassi di battezzare solo persone consapevoli? In che senso questa proposta potrebbe giovare a limitare gli abusi sessuali nella Chiesa?
- L’Autore degli appunti passa quindi ad esaminare il collasso della formazione sacerdotale. A questo proposito cita tre esempi negativi, per la verità non coerenti fra loro. Il primo sembrerebbe avere valore universale, ed è la creazione di club omosessuali; il secondo riguarda la prassi adattata in un seminario tedesco di consumare i pasti insieme a persone sposate; il terzo la visione di film pornografici imposta in un seminario americano. La Santa Sede era informata di queste anomalie, ma sembra non abbia avuto la capacità di intervenire efficacemente perché il processo di selezione dei Vescovi privilegiava sacerdoti in grado di apprezzare le riforme richieste dal Concilio. In maniera nemmeno troppo velata, si imputa allo spirito conciliare la responsabilità di non avere messo ordine in situazioni al limite della legalità: ossia, la creazione di club omosessuali (che c’erano da prima del Concilio, e sembrano esserci ancora), il consumo dei pasti con persone sposate e l’imposizione della visione di film pornografici. Emerge di nuovo l’assillo sessuocentrico e sessuofobico, che paradossalmente include in uno stesso ordine di negatività omosessualità, familiarità e pornografia.
- L’Autore ricorda che la questione della pedofilia è “divenuta scottante” nella seconda metà degli anni Ottanta: quindi prima che l’opinione pubblica ne fosse messa a conoscenza. Riferisce che i Vescovi americani chiesero aiuto alla Santa Sede, che però non ebbe la capacità di reagire perché il diritto canonico penale non presentava un apparato adeguato, dato che l’unica pena comminabile sarebbe stata la “sospensione temporanea dal ministero sacerdotale”. Questa inadeguatezza sarebbe stata il frutto di una voluta debolezza del diritto penale canonico (riformato nel 1983) che è stato perciò in seguito necessario adeguare. In realtà, il diritto canonico penale prevedeva già la possibilità di comminare altre pene, fino alla dimissione dallo stato clericale. Perciò si deve ritenere che all’epoca la Chiesa scelse volutamente una linea di minore impegno, peraltro documentata dall’incerta nota Crimen sollecitationis che, secondo i criteri preconciliari, tendeva a riparare la Chiesa dagli effetti dello scandalo connesso alla perpetrazione di un delitto canonico. La differenza fra punizione ratio peccati e ratio scandali è infatti tipica dell’ordinamento della Chiesa. E’ un fatto anche che la nuova procedura per l’accertamento e la punizione dei delitti in questione giunge solo nel 2001 (con le Norme de gravioribus delictis, che accentrano alla Congregazione la competenza, fra l’altro, anche dei delitti di pedofilia). Joseph Ratzinger conferma di essere stato all’origine di questa direzione, di conoscere l’entità (abnorme) del fenomeno e di avere sviluppato una strategia che, allo stato dell’arte, non pare avere ancora sortito effetti adeguati.
- Gli Appunti accusano dell’inefficacia giuridica dei rimedi apprestati il clima conciliare e garantista. Per la verità, l’estensore si riferisce qui all’impossibile punizione dei teologi dissidenti, non dei pedofili. Riguardo a questi ultimi cita il Vangelo di Mc. (9, 42) per chiarire che i “piccoli” presi in considerazione da quel passo non sono i bambini, ma “i credenti semplici, che potrebbero essere scossi nella loro fede dalla superbia intellettuale di quelli che si credono intelligenti”. Questa digressione appare fuorviante; sposta il problema dalla sua tragica realtà alla metafora spiritualista e sembra voler escludere che il Vangelo proponga come lecito l’adescamento dei minori. Purtroppo, questa sensazione si trae anche dalle premesse, che appunto dicono che dopo il ’68 “la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente” (letteralmente, dal tedesco: “era ammessa e diagnosticata come conveniente”). Essa trova un’ulteriore agghiacciante conferma nella Circolare per aiutare le Conferenze episcopali nel preparare Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti dei minori da parte dei chierici della Congregazione della dottrina della fede del 3 maggio 2011 (in cui si legge, fra l’altro, “siano edotti i sacerdoti sul danno recato da un chierico alla vittima di abuso sessuale e sulla propria responsabilità di fronte alla normativa canonica e civile, come anche a riconoscere quelli che potrebbero essere i segni di eventuali abusi da chiunque compiuti nei confronti dei minori”).
- Imprimono preoccupazione le riflessioni prodotte intorno al fatto che il diritto canonico non dovrebbe essere troppo garantista, ma curare anche “altrettanto importanti beni preziosi come la fede”. Le garanzie dei diritti degli accusati costituiscono un ineludibile principio di civiltà giuridica, e devono essere accompagnate dalla certezza della pena, che ha una funzione medicinale e non solo repressiva. La messa in causa delle fede come bene giuridico da proteggere alla stregua della garanzia dell’accusato, esclude dalla dimensione giuridica il bene della vittima e la riparazione del danno arrecatole. Omette anche di soppesare l’importanza dei beni spirituali (che per il diritto canonico hanno un valore giuridico) e che il Prefetto dell’epoca sembra ignorare, gettando così un’ombra anche sulla capacità del romano pontefice di approntare adeguate reazioni giuridiche di fronte ad un fenomeno delittuoso che col tempo assume dimensioni sempre più strutturali, nonostante i rimedi proposti.
- L’idea della protezione giuridica della fede è, giuridicamente, stravagante. Non è però escluso che questa tesi sia stata sostenuta dal Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che risulta essere stato il propugnatore di una riforma del diritto penale canonico; annunciata nel 2010 sulle pagine dell’Osservatore romano (qui e qui) è scomparsa nel nulla. Nel frattempo, non sembra che la pedofilia sia stata espulsa dalla Chiesa.
- Fra i rimedi prospettati si propone quello di dare vita ad una nuova Chiesa. La sola possibilità, benché possa essere intesa come un artificio retorico, suona paradossale. Ovviamente, la proposta di abbandonarsi all’amore di Dio è plausibile; tuttavia manca di evidenziare rimedi concreti. L’idea che la pedofilia è frutto dell’assenza di Dio è, a sua volta, poco convincente; dato che Dio è sempre presente, anche quando il male sembra trionfare. Si dovrebbe forse ammettere che la pedofilia nella Chiesa è conseguenza di una vita ecclesiale che si svolge come se Dio non ci fosse. Il punto non è quindi l’assenza di Dio, ma l’indifferenza verso Dio che sembra essere di casa anche nella Chiesa. La dimensione spiritualmente apocalittica delle ultime righe del documento in commento introduce una condivisibile preoccupazione spirituale, che vede nella conversione a Dio la soluzione del problema affrontato. Questa rinnovata adesione alla relazione con Dio costituisce la base del recupero dell’equilibrio della comunità ecclesiale. Essa passa però anche per scelte concrete, che non possono prescindere da un’analisi adeguata della situazione al fine di approntare opportuni rimedi.
- Il diritto canonico può essere migliorato. In attesa di un’opportuna riforma sembra necessario relazionarsi con Dio senza restare ossessionati da una morale al tempo stesso sessuocentrica e sessuofobica. In particolare, occorre distinguere fra omosessualità e pedofilia e quindi applicare le norme canoniche vigenti, che già offrono rimedi opportuni per punire gli abusatori e sostenere le vittime.
- Non è accettabile pensare che un vescovo che ha avuto così alte responsabilità nella Chiesa contemporanea possa pensare che la pedofilia sia stata considerata accettabile e conveniente; tanto meno se attribuisce la responsabilità di questa ammissione all’ingresso nella Chiesa dello spirito del mondo. Se tutto questo era evidente almeno dalla seconda metà degli anni Ottanta, chi porta la responsabilità maggiore della inadeguata risposta?