Può un parroco celebrare un matrimonio fra persone dello stesso sesso?
Questa è una domanda di senso comune che risuona negli ultimi giorni, dato che domenica 11 luglio 2020 nel piccolo Comune di Sant’Oreste, in provincia di Roma un parroco «ha celebrato il rito civile tra [le] due donne indossando la fascia tricolore».
Ovviamente le cronache hanno registrato la notizia con clamore, perciò il parroco ha rimesso il suo ufficio ecclesiastico e si è preso un periodo di riposo e di riflessione. Non sembra che il vescovo abbia adottato provvedimenti disciplinari. I due si sono parlati e la domenica successiva hanno concelebrato la Messa nella parrocchia di Sant’Oreste. In questa occasione, il Vescovo ha annunciato che il parroco sarebbe stato lontano per un po’, e perciò avrebbe nominato un Amministratore parrocchiale. Il preste è quindi tornato a vivere dai suoi familiari, e, come si legge nella Nota del Vescovo, nei prossimi giorni andranno insieme a Milano «a incontrare l’equipe di Milano incaricata di questo servizio. È importante per noi chiarezza su un piano dottrinale, comunione su un piano pastorale, lucida e delicata attenzione ai confratelli in difficoltà».
Io non so quale equipe operi a Milano e perché sia necessario rivolgersi ad un gruppo specializzato per chiarire aspetti che, in sé, non sono affatto complicati. Lo stesso Vescovo in un’intervista ha spiegato che la questione omosessuale non c’entra niente, ma è stato comunque violato un canone. Da questo punto di vista il Vescovo ha ragione. In effetti il canone 289 vieta ai chierici di assumere uffici pubblici che comportano una partecipazione all’esercizio del potere civile. Quindi il parroco non poteva chiedere al Sindaco di essere delegato per ricevere – nella qualità di ufficiale dello stato civile – la dichiarazione di due sue amiche intenzionate a costituire un’unione civile. I ministri di culto infatti oltre ad avere alcune prerogative, soffrono anche qualche incompatibilità giuridica, dal punto di vista del diritto sia canonico sia statale.
Facciamo un po’ di chiarezza. Nel diritto italiano il «matrimonio» coinvolge solo due persone di sesso diverso. Si costituisce mediante un atto che può essere manifestato sia davanti ad un ufficiale dello stato civile, sia davanti ad un ministro di culto. Questi soggetti non «celebrano» il matrimonio, in quanto i «celebranti» sono gli sposi stessi. Più semplicemente assistono in funzione di testimoni qualificati. Tant’è che devono comunque essere presenti anche almeno altri due testimoni – per così dire – ordinari.
Per analogia lo stesso schema si replica nel caso dell’«unione civile», che è riservata a persone dello stesso sesso. In questo caso la legge prevede un’unica modalità, che consiste nella dichiarazione resa da entrambe le parti davanti all’ufficiale dello stato civile.
L’ufficiale dello stato civile è il Sindaco. Questi può anche delegare tale funzione ai dipendenti comunali a tempo indeterminato e, in caso di esigenze straordinarie e temporalmente limitate, anche a tempo determinato. Possono essere altresì delegati il presidente della circoscrizione, un consigliere comunale o il segretario comunale. La legge stabilisce inoltre che in tre casi (ricevimento del giuramento che si deve rendere in occasione del conferimento della cittadinanza, la celebrazione del matrimonio e la costituzione delle unioni civili) questa funzione può essere delegata anche a uno o più consiglieri o assessori comunali, come a semplici cittadini italiani «che abbiano i requisiti per la elezione a consigliere comunale».
Ne deriva che il Sindaco di sant’Oreste non poteva delegare il parroco di Sant’Oreste, in quanto l’art. 60 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento locale, impedisce l’elezione a consigliere comunale dei ministri di culto che hanno giurisdizione e cura di anime nel territorio interessato, come di coloro che ne fanno ordinariamente le veci. Questo limite deve essere sfuggito sia al parroco che al Sindaco (e anche ai giornalisti, se non erro).
Possiamo quindi già rispondere alla nostra domanda: per il diritto italiano un parroco non può celebrare (assistere) all’unione civile nella qualità di ufficiale dello stato civile.
Bisogna inoltre considerare il parallelo divieto imposto dal diritto canonico. Nell’insieme la questione supera i confini della cronaca e si radica nel principio di laicità dello Stato, che sin dall’Ottocento cura di mantenere quanto più possibili separati gli ordini religioso e civile. Questa distinzione costituisce un preciso obbligo costituzionale (art. 7). Perciò non è accettabile che un parroco vesta la fascia tricolore.
Non voglio però nascondermi dietro ad un dito. La vicenda di Sant’Oreste intreccia più larghe questioni di opportunità e di relazioni fra Stato e Chiesa che non coinvolgono la sola dinamica della separazione degli ordini religioso e secolare. Se il punto fosse solo questo, sarebbe bastata una lavata di capo del vescovo al parroco e del prefetto al Sindaco. Per un errore del genere non servono dialoghi paterni, riflessioni accurate, dimissioni preventive. Né c’è bisogno di andare a curarsi a Milano. Simili cautele attengono alle comuni dinamiche ecclesiali volte alla riparazione dello scandalo creato dal fatto che un prete abbia nella sostanza pubblicamente condiviso la scelta di due donne di sposarsi (ops! lapsus: di unirsi civilmente). E questa è un’altra storia. Parla forse di omofobia, e non merita trattarla con eccessiva brevità. Certe ferite hanno davvero bisogno di essere curate (e auguri alle spose!).