Parole d’odio e tutela della gentilezza

Un ennesimo naufragio nel Mediterraneo  ha  scatenato un’ondata d’odio di proporzioni enormi. Qualcuno ha scritto sui social “Buon appetito ai pesci!”.  Questo clima disumano è interpretato anche da responsabili istituzionali che, a proposito di altri recenti dolorosi fatti di cronaca, hanno insultato persone colpevoli di omicidio e invocato pene disumane (peraltro contrarie alla Costituzione). Fra le tante cose che verrebbero da dire per placare tanta cattiveria, vorrei anticipare una riflessione sullo spessore giuridico dei sentimenti. Sì: dei sentimenti; perché il diritto non è fatto solo di azioni, ma anche di sentimenti.  Ad esempio, l’amore porta a stringere relazioni giuridiche; il pudore ad evitare certi comportamenti, e l’odio ad essere cattivi.

Il diritto perciò si nutre anche di sentimenti. Pensate alla paura: molte cose non le facciamo o non le diciamo solo perché abbiamo paura della sanzione che potrebbe colpirci, se solo fossimo scoperti. La legge incute paura (e per certi versi, è un bene).

Tuttavia, siccome siamo portati a credere che la legge tratta solo i comportamenti e non anche i sentimenti, pare che ognuno possa liberamente dire quello che gli passa per la testa, talvolta senza nemmeno farla passare per il filtro del cervello. Siccome lo penso, lo dico.

Ma non è proprio così. Non è vero che possiamo dire tutto quello che ci viene in mente solo perché lo pensiamo (o ‘lo sentiamo’). La cultura giuridica si è arrovellata non poco sulla definizione di questi limiti, che sono collocati su un crinale molto delicato,  da cui  si può facilmente scivolare verso un’ingiustificata limitazione della libertà di diffusione delle idee. Faccio qualche esempio: i giornalisti hanno il diritto-dovere di informare, ma devono dire cose vere e non quello che ‘gli pare’; tutti possono accusare una persona, ma non diffamarla; i parlamentari godono del privilegio della insindacabilità, grazie alla quale  non possono essere perseguiti per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni (vuol dire che i comuni cittadini invece possono essere chiamati a rispondere di quello che dicono).

Perciò certe cose – che pure si possono pensare – non si possono dire: non si può bestemmiare, non si può oltraggiare, non si può negare la Shoah.

Purtroppo abbiamo ancora bisogno di leggi che aiutino a prevenire la cattiveria e sostenere la convivenza pacifica.  La Costituzione difende questi valori: fra cui rientra il progresso spirituale della società. Perciò la legge punisce le discriminazioni e protegge dall’odio.

Poco più di un anno fa sono stati introdotti nel codice penale due nuovi articoli (604 bis e 604 ter) che derivano  dalla ratifica della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale).Questi due articoli puniscono, salvo che il fatto costituisca un più grave reato, chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, oppure incita a commettere o commette violenza, o atti di provocazione alla violenza, o, infine, atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Inoltre, le pene previste per punire alcuni reati sono aumentate nel caso in cui questi siano stati compiuti per motivi di odio religioso o razzista.

Bisognerebbe che i liberi diffusori di odio diventassero consapevoli di questa limitazione legale. Sarebbe anche utile che il Ministero dell’interno cominciasse a renderci tutti più sicuri attuando efficaci politiche di contrasto all’odio; specialmente a quello diffuso via internet.

Mentre aspettiamo che le istituzioni facciano la loro parte, propongo di darci da fare per confidare di più nella forza della parola. Perché se l’odio eccita odio, anche la gentilezza contagia gentilezza.

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