La sentenza della prima sezione penale della Corte di cassazione del 31 marzo 2017 (numero 24084) interviene su una questione molto dibattuta, e già più volte risolta dalla magistratura, connessa al “porto del kirpan”. Il kirpan è un simbolo religioso del sikhismo, una religione nata in India nel XV secolo, che contesta la divisione castale tipica dell’induismo. Si basa su un discepolato nonviolento caratterizzato da uno stile di vita molto pacifico. Fra i loro obblighi religiosi figura quello di presentarsi in pubblico mostrando chiaramente la loro identità religiosa, simboleggiata dalle cosiddette “cinque kappa”: kesh (capelli e barba lunghi, mai tagliati, simbolo della vita naturale che nessuno può volutamente manipolare), kamba (un pettine che va tenuto fra i capelli, usato due volte al giorno per tenerli ordinati, senza nodi e puliti, simbolo della pulizia personale e morale), kara (un braccialetto, simbolo dell’attaccamento a Dio), kachera (un complemento di abbigliamento che copre le parti intime, simbolo del rispetto verso se stessi), e finalmente il kirpan (simbolo della prontezza dei sikh a proteggere chiunque sia in pericolo). Il kirpan è quindi un oggetto rituale, di per sé non affilato e non destinato a tagliare alcunché. Chiamarlo coltello, o spada o scimitarra, costituisce un’approssimazione metaforica non necessaria, perché il kirpan è il kirpan. Basta saperlo.
Siccome tuttavia esso ha le forme di un oggetto tagliente, è del tutto plausibile che possa essere considerato un’arma impropria. Ragionevolmente le forze dell’ordine – non solo in Italia – hanno più volte fermato i sikh, che portano in genere il kirpan in modo ben visibile, contestandogli il porto di un’arma impropria. Vale a dire di un oggetto che di per sé non è adatto a colpire per offendere, ma che è possibile utilizzare impropriamente a scopo offensivo. Del resto sono molti gli oggetti che possono impropriamente essere usati in modo offensivo: un bisturi o un’accetta, un coltello o una bottiglia, un ombrello e un bastone da passeggio, e così via. La legge impedisce di portare in luoghi pubblici alcuni oggetti particolarmente pericolosi, come forbici o coltelli, senza un giustificato motivo.
Il punto di diritto prende qui due strade. La prima merita di decidere se il kirpan sia un simbolo religioso o un’arma impropria. Facciamola facile e non imbocchiamo (per adesso) questa strada. Decidiamo che non è un simbolo religioso, ma oggettivamente un coltello potenzialmente offensivo. A questo punto dobbiamo valutare se esista un giustificato motivo per portarlo. Tale decisione va presa caso per caso, ma non c’è dubbio che un sikh abbia un valido motivo per indossare un kirpan. Resta però da vedere se si tratta di un kirpan enorme e affilato (molto spada e poco kirpan) o di un kirpan piccolo, non affilato, e magari conservato in una custodia sigillata. Su queste basi oggettive – completate da altri criteri che riguardano anche le condizioni soggettive, di luogo eccetera – il giudice valuterà di volta in volta se quel kirpan può o non può essere portato.
La sentenza in esame non segue questi criteri applicative di base. Esce dal seminato e si avventura su pericolose strade sociologiche di carattere generale ed astratto, del tutto improprie alla funzione esercitata dal giudice, anche della Cassazione. Un primo errore logico e concettuale consiste nell’affrontare la questione nell’ottica di un problema di convivenza etnica fra immigrati e società ospitante. Il porto del kirpan può infatti essere rivendicato da chiunque, anche da un cittadino italiano e non solo da un immigrato. Inoltre l’art. 19 della Cost. non fa differenze soggettive perché riguarda “Tutti” (strano che un giudice maturo non ricordi un principio di base del diritto costituzionale). Un secondo errore riguarda il ricorso a categorie sociologiche e non giuridiche; ogni giudice dovrebbe applicare la legge e non certo valutare in astratto il grado di integrazione sociale degli stranieri. Né può costruire limiti giurisprudenziali “invalicabili” all’esercizio dei diritti costituzionali. Il giudice della legittimità può desumere conseguenze giuridiche dalla legge, ma non certo ipotizzare criteri interpretativi riferendoli alla “civiltà giuridica ospitante”. Un riferimento dai contorni abbastanza incerti, che peraltro certamente vede la promozione della libertà religiosa di tutti al centro delle sue preoccupazioni costitutive.
Come non bastasse, la sentenza predica l’esistenza di un “obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale”. Confondendo così i valori con la legge. Con buona pace della libertà di opinione e di espressione. Come faccia poi il giudice a dare per scontato che i valori degli immigrati siano diversi ed incompatibili dai “suoi” resta un mistero. Si sarebbe forse dovuto preoccupare di dimostrare che i sikh professano una fede incompatibile con la civiltà occidentale, e quindi anche di chiarire i contorni di quest’ultima. Ammettendone implicitamente un obbligo di condivisione, che riguarda tutti o solo gli “altri”? La sentenza su questo punto non argomenta (con buona pace della civiltà giuridica).
Il passaggio più delicato riguarda il dictum secondo il quale l’art. 19 della Costituzione incontrerebbe il limite dell’”ordine pubblico”. Anni di sapienza vengono spazzati via da un’affermazione che porterebbe alla bocciatura qualsiasi studente di giurisprudenza (che è ormai addestrato a distinguere fra “ordine pubblico” della “pubblica sicurezza” e le diverse sfumature dell’“ordine pubblico”). Affermazione peraltro suffragata da citazioni di sentenze non pertinenti al caso di specie: per così dire estrapolate dal contesto. La menzione di pronunce relative al velo islamico indurrebbe a credere che il giudice avesse intuito che il tema del kirpan riguarda simboli religiosi e non armi, ma – come ho anticipato – per ragionare su queste basi avrebbe dovuto imboccare una strada argomentativa più articolata e complessa; discutere di leggi e non di valori.
In sostanza la parte debole della sentenza non è tanto il suo dispositivo quanto l’assenza di un iter argomentativo giuridicamente adeguato e la presenza di affermazioni un po’ pericolose e un po’ sconcertanti. Suggerisco quindi di maneggiarla con cura, facendo attenzione ai tagli impropri che può provocare. Questa sentenza molto più del kirpan normalmente indossato dai sikh.