“E’ meno grave parcheggiare senza diritto nel posto dei disabili, evadere le tasse, o imbrogliare agli esami? Considerazioni ‘non bacchettone’ sulla difesa di alcuni beni comuni”
Il mio economista preferito è un tal Karl William Kapp, di origine tedesca, vissuto tra il 1910 e il 1976, un economista minoritario e quasi sconosciuto che tuttavia ha inquadrato in modo insuperabile la questione del rapporto tra economia e degrado ambientale. In uno dei suoi saggi, richiamava l’idea che vi sono concetti che sono quasi scontati, e sui quali vi è un unanime consenso, e che però richiedono una accurata riflessione per comprenderne fino in fondo le implicazioni, sia di metodo che pratiche. Il caso del copiare agli esami rientra fra questi concetti: non è scontato aver consapevolezza delle implicazioni sociali.
Personalmente sono giunto ad una opinione chiara solo dopo diversi anni di riflessione e di dibattito con tante persone, soprattutto studenti. Voglio pertanto incentrare la questione sulle implicazioni, sulle conseguenze. Non adotto un approccio di tipo morale, BACCHETTONE, “non si dicono le bugie”, bensì strumentale, consequenzialista, cercando di comprendere le conseguenze per il singolo e per la collettività.
Se qualche anno fa mi aveste chiesto che cosa consideravo meno grave tra evadere le tasse, parcheggiare in un posto riservato ai disabili e imbrogliare agli esami? Qualche anno fa avrei risposto senza esitazione, imbrogliare agli esami. Oggi non più.
Che cosa succede se si parcheggia al posto del disabile. Si danneggia una persona svantaggiata. Se molti automobilisti non rispettano il divieto che cosa succede? Che la norma viene erosa. Perché è importante che la polizia municipale intervenga con prontezza con il carro-attrezzi? Per evitare che tutti violino la norma e che la rendano vuota, che la distruggano. La legalità è un bene comune che può essere eroso.
Quali sono le implicazioni dell’evasione fiscale? Si riducono le entrate dello Stato e si riducono i servizi. In questo caso è la società nel suo complesso ad essere colpita, ma soprattutto le classi deboli, chi più usufruisce dei servizi prodotti dallo Stato. Anche qui vi è il problema dell’erosione della norma: se tutti evadono, è molto più difficile esigere le imposte.
Veniamo ora al nostro caso: imbrogliare agli esami.
La prima e più immediata conseguenza è quella di creare graduatorie alterate: chi imbroglia agli esami scritti può passare avanti altri rispetto all’ammissione alla magistrale, alla graduatoria del diritto allo studio, “fregando” la borsa ad altri, ecc.
Se l’abitudine a imbrogliare si diffonde, chi vuole comportarsi onestamente è scoraggiato: da un lato peggiora la sua posizione in graduatoria, dall’altro, quando l’andamento generale della classe è buono, il docente inconsapevole tende ad abbassare i voti degli elaborati peggiori.
Se dunque si diffonde l’abitudine ad imbrogliare agli esami, avremo come per l’evasione fiscale, una erosione del bene comune “senso della legalità”. Rafforza il messaggio che l’Italia è il paese che premia i furbetti.
Ma abbiamo anche altre conseguenze. Se i furbetti rimangono pochi, danneggiano alcuni, ma soprattutto se stessi in termini di competenza professionale: forse avranno maggiori difficoltà a trovare lavoro. Se però imbrogliare diviene prassi, l’Università perde il suo scopo: la formazione. Se tutti fanno i furbetti, il livello di preparazione si abbassa: che cosa succederà ai professionisti del futuro? I figli degli studenti di oggi avranno docenti poco competenti … e quale sara’ la preparazione degli ingegneri e dei medici che consulteremo?
Le implicazioni hanno dunque una portata più ampia rispetto a quelle dell’evasione fiscale o del parcheggio dei disabili. Copiare agli esami distrugge il diritto allo studio, la concezione dell’Università come luogo di formazione. Per questo credo che sia interesse, anche egoistico, di ciascuno noi difendere il diritto allo studio, impedire che l’Università si trasformi in un esamificio.
I rappresentanti degli studenti hanno, a mio avviso, la grande opportunità e l’onere di difendere la qualità dell’istruzione e il diritto allo studio, il diritto ad apprendere e ad imparare, gravemente danneggiato da un atteggiamento spesso troppo buonista nei confronti di chi usando le moderne tecnologie frega non noi docenti, ma tutti coloro che si comporta in modo corretto.
Penso che sia necessario essere consapevoli di quanto i ragazzi italiani siano fortunati ad avere accesso all’istruzione ad un costo relativamente basso e che la difesa della qualità dell’istruzione sia cruciale per il loro personale sviluppo, professionale e non, e per il futuro dell’intera società.
Giungo infine ad alcuni aspetti specifici:
1) il fenomeno è diventato grave con le nuove tecnologie di comunicazione,
2) riguarda, pur se con diverse intensita’, tutti i dipartimenti,
3) non deve allarmare la sua dimensione attuale ma le sue potenzialita’ di sviluppo: ricordate la storia della ninfea come esempio di crescita esponenziale? oggi ci sono 2 ninfee, domani 4, dopodomani 8, quando il lago è riempito per metà manca un solo giorno affinchè sia riempito del tutto.
4) quanto scritto nei regolamenti di Ateneo è poco comunicativo. Non menziona da nessuna parte il caso di plagio o l’uso di cellulari agli esami: è una grave lesione del diritto ad essere informati.
5) vi è grande difformita’ nei comportamenti dei docenti – chi fa finta di niente e chi commina sanzioni informali “in proprio”, spesso non sapendo nemmeno che è prevista una procedura sanzionatoria per questi casi.
E’ pertanto quanto mai necessario creare condizioni identiche e uniformi per tutti in ateneo, con procedure snelle ed efficaci e con sanzioni graduate ma certe. Ciò, da un lato, assicurerebbe la difesa del diritto allo studio e del senso di legalita’ e, dall’altro, garantirebbe lo studente da quei casi di esercizio arbitrario del potere da parte del docente.
Come docente, io e tanti altri colleghi, sappiamo come comportarci: copiare agli esami è un reato e se troviamo qualcuno che si fa dettare il compito da fuori via auricolare, andiamo in procura e sporgiamo regolare denuncia. Vorremmo però avere gli strumenti per evitare che si arrivi a questo, ovvero vorremmo che tutte le componenti dell’ateneo siano consapevoli del problema e che siano previste norme e procedure che limitino al minimo il fenomeno.
Per concludere, ribadisco che le argomentazioni portate non sono quelle di un docente, bensì quelle di cittadino che intende promuovere due importanti beni comuni – il diritto allo studio e il senso della legalità.
Pisa, giugno 2017
Tommaso Luzzati